Intervista al dott. Luigi Speziali

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tutti i diritti riservati riproduzione consentita purchè sia citata la fonte "www.calvizie.net"

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Il dott. Luigi Speziali, socio dell’Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali e socio fondatore della Società Italiana di Tricologia, ci parla della gestione dei pazienti affetti da alopecia areata severa (a chiazze multiple e totale) del cuoio capelluto.

Dott. Speziali, qual e’ l’incidenza dell’alopecia areata nel suo ambulatorio?
Le forme minime, rappresentate da una o due chiazze, sono molto frequenti; le forme estese, fino alla forma universale, sono fortunatamente rare. In generale l’a. a. è responsabile di circa il 2% di tutte le visite dermatologiche in un anno nei paesi occidentali.

Come comincia la sua visita?
Prima di tutto eseguo l’esame obiettivo, per essere certo della diagnosi; infatti, mentre essa è ovvia di fronte ad un’alopecia totale o universale e ad un’ofiasi (alopecia a banda delle regioni parieto-temporo-occipitali), appare meno scontata in caso di chiazze multiple o in quella rara forma definita ofiasi inversa, in cui è l’area centrale del cuoio capelluto e non quella periferica ad essere coinvolta.

Con quali altre condizioni, quindi, l’alopecia areata entra in diagnosi differenziale’
Nell’ofiasi inversa ci si potrebbe confondere con un’alopecia androgenetica e nelle forme a chiazze multiple con un’alopecia sifilitica o con una tricotillomania. Ricordo inoltre la possibilità che una metastasi cutanea, spesso proveniente da un adenocarcinoma della mammella, mimi un’alopecia areata, sebbene in questi casi non siano quasi mai presenti forme multiple.

Quali strumenti diagnostici e quali segni clinici possono aiutarla nella corretta diagnosi?
Con una semplice lente d’ingrandimento, o – ancora meglio – con un videodermatoscopio, possono essere evidenziati, ai margini delle chiazze, i cosiddetti capelli a punto esclamativo, patognomonici dell’a. a. , cioè capelli corti, spezzati, che si assottigliano verso il cuoio capelluto. Inoltre, si esegue il pull test, cioè si tengono i capelli fra le dita e si “tirano” dolcemente: in presenza di attività della malattia si contano numerosi elementi (in condizioni di normalità nessuno o al massimo uno o due capelli). In alcuni casi, comunque, soprattutto in mancanza dei suddetti segni clinici, si rende necessaria una biopsia.

L’esame obiettivo viene esteso ad altre aree cutanee’
Certamente. Oltre al resto del tegumento, per il riscontro di possibili altre aree alopeciche bisogna considerare l’eventualità di alterazioni ungueali, presenti, a seconda delle statistiche, in una percentuale dal 10 al 70% dei pazienti. Le più frequenti distrofie delle unghie sono rappresentate dal “pitting” (depressioni della lamina ungueale), dalla trachionichia (striature longitudinali della lamina che le conferiscono un aspetto a carta vetrata) e dalle linee di beau (solchi trasversali della lamina): esse sono importanti perché indicative di cattiva prognosi, anche se su ciò non tutti sono d’accordo.

Oltre alle onicodistrofie, quali altri fattori prognostici sono considerati negativamente’
A questo riguardo è importante l’anamnesi. E’ necessario indagare su un eventuale stato atopico, sulla storia personale e familiare di altre malattie autoimmunitarie, sulla presenza di a. a. in altri familiari, sulla eventuale giovane età di esordio della a. a.: questi vengono considerati tutti fattori prognostici negativi, oltre alla presenza di estese chiazze alopeciche e in particolare di ofiasi. La malattia, comunque, rimane assolutamente imprevedebile.

Bene, abbiamo parlato di diagnosi e di prognosi; adesso facciamo il punto sulle opzioni terapeutiche.
Innanzitutto è necessario dividere i pazienti secondo l’età; in quelli con meno di 10-12 anni di età le opzioni sono limitate ai trattamenti topici non invasivi. In particolare, prescrivo in prima battuta l’antralina 1% in crema in short-contact-therapy, cioè fino a un massimo di un’ora di applicazione al giorno (poi va rimossa), eventualmente associata, in caso di scarsa risposta clinica, a minoxidil soluzione 5% e a corticosteroidi topici in gel. Per quei pazienti con età superiore ai 10-12 anni, devo valutare l’estensione delle chiazze: se essa supera il 40-50% della superficie del cuoio capelluto e l’evoluzione è rapida, sono costretto a prescrivere un ciclo di corticosteroidi per uso sistemico. Il farmaco che attualmente adopero, con buoni risultati sul controllo della malattia attiva, è il triamcinolone acetonide in formulazione retard, in fiale da 1 ml, alla concentrazione di 40 mg/ml; esso viene somministrato per via intramuscolare per un ciclo della durata di circa 2-3 mesi. In alternativa al cortisone, in pazienti in cui ne è controindicato l’uso, può essere utilizzata la ciclosporina, sempre e solo per controllare la fase attiva della malattia, sia a causa dei suoi effetti collaterali che per l’alta percentuale di recidive alla sua sospensione.

Quando è certo di aver ottenuto il controllo della fase attiva?
Soprattutto quando il pull test è negativo su tutte le regioni del cuoio capelluto e non sono più presenti in gran numero i capelli a punto esclamativo.

Quindi, supponiamo di aver raggiunto una stabilizzazione delle chiazze alopeciche. Che cosa propone ai suoi pazienti?
In pazienti con cute non particolarmente chiara (e quindi con minor rischio da raggi u.v.) e in cui ho escluso dall’anamnesi e dall’esame clinico qualunque controindicazione, quale una storia di fotosensibilità e di tumori cutanei, la presenza di patologie oculari e di numerosi nevi, l’eventuale assunzione di farmaci fotosensibilizzanti, prescrivo un ciclo di puva terapia della durata media di 4-6 mesi. Essa consiste nella somministrazione per via orale di un farmaco appartenente ad una famiglia di sostanze fotosensibilizzanti definite psolareni, seguita, due ore dopo, dall’esposizione total body ai raggi UVA. Si effettua 2-3 volte alla settimana presso studi medici in cui sia disponibile un’apparecchiatura con cui si possa ottenere un graduale aggiustamento della dose di UVA. Laddove ciò non sia possibile, si può optare per una cabina UVA a bassa pressione e con dosaggio standardizzato, ma con risultati meno soddisfacenti.

Le possibilità terapeutiche si esauriscono qui?
Certamente no. Rimane come ultima risorsa l’opzione più interessante per l’alopecia areata cronica severa, cioè l’immunoterapia topica. Nonostante sia considerata in questi casi la più efficace arma terapeutica, la propongo per ultima per una serie di motivi. Innanzitutto il suo utilizzo non è approvato dal Ministero della Sanità, per cui l’operatore se ne assume la responsabilità, avendo cura di rendere edotto il paziente (e raccogliendone il consenso), della natura in qualche modo “sperimentale” della metodologia, degli eventuali effetti collaterali (piuttosto frequenti) e ribadendo che essa è, come tutte le altre finora menzionate, una cura palliativa dell’alopecia areata, non in grado di determinarne la guarigione definitiva. Inoltre, il trattamento è molto lungo e richiede in genere una seduta settimanale in ambulatorio per un tempo minimo di 6 mesi, per cui il paziente che vi aderisce deve essere fortemente motivato.

In cosa consiste questa metodologia?
Consiste nel sensibilizzare (cioè rendere allergico) il soggetto con una sostanza chimica non presente in natura né in ambienti tecnici, non tossica, incapace di reagire con altre sostanze, non mutagena (non in grado di indurre tumori). Attualmente vengono utilizzate il difenciprone e il dibutilestere dell’acido squarico (sadbe). la sede che prediligo per la sensibilizzazione e’ il cuoio capelluto, mentre alcuni operatori utilizzano le braccia. In pratica applico su un’area di 10 centimetri quadrati un cotton fioc imbevuto di sadbe al 2%. Dopo 2-3 settimane inizia il trattamento vero e proprio, in genere su una metà del cuoio capelluto, utilizzando una concentrazione dello 0,005% per gli adulti e dello 0,002% per i bambini.

Cosa induce sulla cute questa terapia?
Lo scopo del trattamento è di indurre una dermatite allergica da contatto di lieve entità, modificando la concentrazione del topico in base alla risposta clinica.

Dopo quanto tempo inizia la ricrescita?
Nei soggetti responders ciò avviene dopo 8-10 sedute e in questi casi si estende il trattamento all’intero cuoio capelluto.

Quando considera fallita la terapia?
In caso di assenza di ricrescita dopo 6 mesi di trattamento, anche se alcuni auterevoli autori consigliano di prolungarlo per almeno 2 anni, allo scopo di identificare quei soggetti “slow responders”.

Una volta ottenuto un risultato che lei ritiene soddisfacente, instaura una terapia di mantenimento?
Sì, proseguo con il trattamento per 2-3 anni, anche se alcuni pazienti diventano progressivamente tolleranti all’immunoterapia. In questi casi aumento la concentrazione della sostanza e, se ciò non si rivela sufficiente, instauro un breve ciclo terapeutico con cimetidina, un farmaco in grado di ripristinare la sensibilizzazione nei soggetti.

Lei ha parlato di effetti collaterali. Quali sono i più frequenti?
Si possono riscontrare reazioni eczematose anche generalizzate, talvolta con formazione di bolle, orticaria, edema del volto e del cuoio capelluto, iperpigmentazione e ipopigmentazione, aumento di volume dei linfonodi cervicali e retroauricolari.

In questi casi come si comporta?
Se le reazioni sono facilmente controllabili con cortisonici topici e antistaminici sistemici, continuo, eventualmente riducendo i dosaggi; se gli effetti sono devastanti, interrompo il trattamento e, in caso di pazienti fortemente motivati, ricomincio con un altro sensibilizzante.

In conclusione, quale messaggio diamo ai pazienti affetti da alopecia areata severa del cuoio capelluto?
Che essa e’ una malattia di cui non conosciamo la patogenesi e pertanto non siamo in grado di decretarne la guarigione. E’ possibile però controllarla, utilizzando, spesso a rotazione, e da parte di specialisti esperti, una serie di opzioni terapeutiche, in base all’età del paziente e all’estensione della patologia.

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